clicca sul logo

mercoledì 26 settembre 2012

SI CONCLUDE CON LA VITTORIA DELLA COOPERATIVA "SOCIALE NONCELLO" DI PORDENONE IL MATCH DI 13 ANNI CON L'INPS

La Corte di Cassazione, nel pronunciarsi in merito a un contenzioso che per anni ha visto contrapposti l’Inps da un lato e la Cooperativa Sociale Noncello di Pordenone dall’altro, ha riconosciuto la possibilità per una regione (nel caso in questione, il Friuli) di integrare (purchè non andando “contro” l'art.4),l’elenco delle categorie di “soggetti svantaggiati” contenuto nella legge sulle cooperazione sociale, la 381/91.

Alla fine degli anni '90 l'INPS contestò alla cooperativa (alla fine risultata vincitrice)

di non aver assolto all’obbligo, a cui tutte le cooperative sociali di inserimento lavorativo sono soggette, di avere tra i propri lavoratori almeno il 30% di “soggetti svantaggiati” così come definiti dall’art. 4 legge 381/91 (invalidi, ex degenti di istituti psichiatrici, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, minori in situazioni di difficoltà familiare e condannati ammessi a misure alternative alla detenzione) e quindi di aver fruito illegittimamente delle riduzioni contributive previste per questo tipo di imprese.La cooperativa nel conteggio dei propri lavoratori svantaggiati aveva incluso anche alcune categorie non esplicitamente contenute nella 381 ma tuttavia previste dalla legislazione regionale in materia di cooperazione sociale.

Questa vicenda dovrebbe farci riflettere per alcuni aspetti che hanno interessato, da più di ventanni , questa tipologia di cooperative.

Innanzitutto il ruolo, in questo campo, repressivo da parte dell'INPS, “responsabile” della “chiusura” di esperienze magari poco sosfisticate dal punto amministrativo ma senz'altro di valore dal punto di vista umano e solidaristico.

INPS che si è mosso senza che gli altri soggetti istituzionali (il Ministero del Lavoro fino al 2001, il Ministero dello Sviluppo Economico da allora ad oggi) abbiano saputo con incisività imporre quanto meno un ragionevole coordinamento dei vari aspetti dell'attività di vigilanza. Speriamo che questa sia una buona occasione per iniziare a lavorare in tale senso, in modo che d'ora in poi non esistano circolari discordanti su un medesimo aspetto regolato da una norma di legge.

Continueremo poi a insistere sull'inaccettabilità che una causa possa durare 13 anni, sia per un privato cittadino che per un soggetto imprenditoriale. Per motivi ideali innanzitutto ma se qualcuno preferisce che si faccia per forza riferimento alla “crescita”, poco male, facciamolo contento. Basta che si arrivi a un risultato.

E' poi una beffa per questa cooperativa (ma per tutti i soggetti che hanno visuuto analoghe disavventure) la non restituzione di tutti i soldi ingiustamente spesi in questi dieci anni (si parla di centomila euro) per difendersi nelle sedi giudiziarie.

Ora occorre operare su vari versanti. Innanzitutto adeguare ai tempi la nozione di soggetto svantaggiato che sempre più deve avvicinarsi all'accezione del termine nel linguaggio comune (che è stata sempre più ampia e comprensiva di quella definita dall'art. 4 legge 381/91).

Poi si ripropone un altro annoso problema: vi è sul tema una competenza statale e regionale e, purtroppo, ciò non si è tradotto in semplificazione ma in caos. In ogni regione sono rilevabili differenze e incongruenze con la legislazione statale. E, purtroppo, essendo le Regioni un crocevia di finanziamenti, è risaputo che l'assidua presenza delle centrali cooperative ai momenti di consultazione a livello regionale sulla cooperazione di produzione lavoro e sociale non solo è determinata da disinteressato slancio mutualistico ma anche dalla necessità di tutelare economicamente i più importanti tra i loro associati. Con tutti i rischi (inquinamento di scopi,conflitti di interesse o peggio) che ciò può comportare. Urge quindi che la questione sia risolta nell'ambito di un nuovo assetto istituzionale.

Riguardo a ciò le incongruenze da evitare sembrano due: una inflazione di tipologie di svantaggio (risolvibile con una graduazione e una differenziazione delle agevolazioni all'interno della legge nazionale) e lo squilibrio tra regione e regione, non sempre giustificabile dalle differenze sociali , economiche e territoriali tra una regione e l'altra. In altre parole, se l'intervento non sarà accorto e calibrato, rischiamo di aprire una altra falla nella finanza pubblica dopo quella che sembra si stia chiudendo, grazie alla GdF e all'INPS, relativamente ai “falsi invalidi”.

A naso, sembrerebbe quindi riproporsi la necessità di un forte coordinamento statale della materia.A breve nessuno può impedire alle regioni di ampliare l'elenco delle tipologie ma è anche vero che il Governo potrebbe sollecitamente (sulla base dell'esperienza proprio delle varie regioni) utilizzare lo strumento del decreto interministeriale previsto nello stesso art. 4 per ampliare con nuove categorie la platea degli svantaggiati, nel caso in cui non fossero state previste, originariamente, dalla legge.

Occorre però tener presente che la materia dell'inserimento lavorativo delle persone svantaggiate non può essere tutta scaricata sulle cooperative sociali e che sembra arrivato il momento di ridefinire la materia e gli interventi in senso più ampio.Nello specifico, esistono soggetti talmente problematici da non poter essere inseriti neppure dalle cooperative sociali nell'attuale assetto di incentivi previsti che quindi vanno riveduti attraverso una necessaria consultazione degli operatori del settore.

Nessun commento:

Posta un commento